ROMA – È di almeno 37 vittime il bilancio dei morti palestinesi registrati ieri nella Striscia di Gaza. Lo confermano le fonti locali, mentre non rallentano gli attacchi dell’esercito israeliano lungo la Striscia, motivati con la necessità di per fare pressioni su Hamas nonché per creare una “zona cuscinetto di sicurezza” tra l’enclave palestinese e Israele.
Intanto, come confermano i media internazionali, stamani sono arrivati all’ospedale di Al-Aqsa di Deir El-Balah, nel centro della Striscia, i nove prigionieri palestinesi che le autorità israeliane hanno acconsentito a rilasciare, affidandoli alla Croce rossa internazionale, che si è occupata del trasferimento.
Il rilascio è il primo da quando, lo scorso 1 marzo, è terminata la prima fase dell’accordo di cessate il fuoco, che ha visto la liberazione di 33 ostaggi israeliani a fronte di decine di prigionieri palestinesi. A quella fase sarebbero dovuti seguire colloqui per avviare la seconda delle tre tappe dell’intesa siglata a metà gennaio, ma Israele ha deciso di ritirarsi dai negoziati e riprendere gli attacchi.
Ieri, dopo pressioni da parte dei familiari degli ostaggi ancora tenuti da Hamas nella Striscia, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha riferito che l’esecutivo “è al lavoro per riportarne dieci in Israele”. L’incontro è avvenuto con gli esponenti del Tikva Forum, un’associazione che si batte per il ritorno in sicurezza dei propri connazionali rapiti nel sud di Israele il 7 ottobre 2023, nell’ambito di un’aggressione portata a termine dai commando di Hamas.
La rottura del cessate il fuoco ha comportato anche la chiusura dei valichi di frontiera all’ingresso degli aiuti umanitari. In questi giorni, la Palestinian Non-Governmental Organizations Network (Pngo), organizzazione ombrello che riunisce 140 organizzazioni umanitari e della società civile palestinese, ha lanciato un appello congiunto dal titolo “Stop alla carestia e al genocidio nella Striscia di Gaza” per chiedere la fine “del blocco totale ai beni umanitari imposto da Israele a partire dal 2 marzo”.
Nel fine settimana appena trascorso, Philippe Lazzarini, direttore dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i profughi palestinesi (Unrwa), ha esortato Israele a “tornare al rispetto dei fondamenti del diritto umanitario internazionale”, garantendo “aiuti di base alle popolazioni poste sotto il suo controllo”. Lazzarini sostiene che 400mila persone siano state sfollate a causa della ripresa delle ostilità. Le infrastrutture civili non sono risparmiate dagli attacchi: Middle East Eye riferisce che ieri, un missile israeliano ha colpito un centro di distribuzione della farina dell’Unrwa ad Al-Raqab, nell’ovest della Striscia, mentre poche ore prima un attacco distruggeva l’ospedale battista Al-Ahli, a cui l’esercito aveva trasmesso un ordine di evacuazione: “È fuori servizio” ha confermato nella serata di ieri il capo dell’Organizzazione mondiale della Sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, riferendo che “il pronto soccorso, i laboratori, i macchinari della radiologia e la farmacia sono stati distrutti. L’ospedale è stato costretto a evacuare 50 pazienti, ma non è stato possibile spostare altri 40 in condizioni critiche”. L’Oms ha confermato che nel trasferimento dei pazienti, un bambino di dodici anni ha perso la vita.
Alla luce di questa situazione, il reporter palestinese da Gaza, Al-Hassan Selmi, in un audio ottenuto dall’agenzia Dire, lancia un “appello ai giornalisti internazionali: non smettete di parlare di Gaza”. A pochi giorni da un raid che ha colpito una tenda dei media a Gaza, uccidendo due cronisti, Selmi dichiara: “L’esercito israeliano uccide e brucia vivi i giornalisti palestinesi e questo è un messaggio che vuole lanciare ai cronisti di tutto il mondo: se non smettete di raccontare quello che succede, sarete i prossimi bersagli”. Ma, secondo il cronista, “se ci lasciate soli, ci uccideranno tutti”. Oltre 200 gli operatori che hanno perso la vita dall’ottobre 2023, secondo le autorità.
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