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Giornalismo, Corso Ue, giorno 1: da Garibaldi all’Europa che sarà

MondoGiornalismo, Corso Ue, giorno 1: da Garibaldi all’Europa che sarà

ROMA – Da Giuseppe Garibaldi, che già nel 1867 voleva gli Stati Uniti d’Europa, all’Europa che sarà. Più grande e forse anche, ma questo non è scontato, più unita. Estremi temporali e suggestioni solo in apparenza paradossali, al centro della prima giornata del corso di formazione europeo per giovani giornalisti, content creator e operatori dell’informazione.

Nel mezzo, nelle lezioni e nel dibattito nella redazione dell’agenzia Dire, ci sono gli impegni quotidiani per favorire un’informazione corretta, dal e sul Parlamento europeo e le istituzioni comunitarie. Ma attenzione: bisogna tenere come riferimento i cittadini; e scommettere sui giornalisti, chiamati a informare dopo aver verificato e incrociato le fonti. Un percorso necessario contro le “fake news” ed essenziale in una chiave democratica.

Ad aprire il corso con i reporter è Carlo Corazza, direttore del Parlamento europeo in Italia. “L’agenda di Mario Draghi non è allarmista ma realista” sottolinea ricollegandosi a uno dei momenti dell’ultima plenaria a Strasburgo, dal 16 al 19 settembre scorsi. “Dopo 20 anni di esperienza europea, ritiene che se questa nuova legislatura non affronterà le tre criticità che ha elencato l’Ue andrà a morire”. Si parla di capacità di innovare e di investire, di energia e di sicurezza, anche nella prospettiva dell’“indipendenza strategica”, si tratti di batterie e microprocessori o di dotazioni militari.

Un tema, quello dell’indipendenza e del ruolo dell’Europa nel mondo, che attraversa anche la lezione di Francesco Gui, professore di Storia moderna all’università La Sapienza di Roma. “Altiero Spinelli è stato bravissimo ma non se l’è inventata lui l’idea della federazione europea” sottolinea il docente, aggiungendo una domanda: “Sapevate che nel 1867 ci fu un convegno a Ginevra presieduto da Giuseppe Garibaldi, che voleva gli Stati Uniti d’Europa?

La storia attraversa i secoli e arriva fino all’allargamento dell’Ue degli ultimi 20 anni, con nuovi Stati membri dal mar Baltico al mar Nero, candidatura dell’Ucraina compresa. “Dobbiamo stare attenti” avverte Gui: “Ci sono Paesi che hanno affrontato un processo di unificazione nazionale mentre altri giungono da una vicenda completamente differente, come le repubbliche della ex Jugoslavia o quelle della ex Cecoslovacchia”. Secondo il professore, “c’è il rischio di una frammentazione e allo stesso tempo la necessità di garantire nell’Unione processi decisionali efficienti, anche superando il principio dell’unanimità”.

C’è poi il lavoro di informazione, giorno per giorno, fondato su media vecchi e nuovi e però anzitutto sulle persone. “La comunicazione di una istituzione europea non può essere quella di un politico o di un’impresa” sottolinea Valeria Fiore, che cura la dimensione social del Parlamento europeo a Roma. “Noi partiamo analizzando i target per capire cosa interessa di più alle persone e soprattutto ai giovani, tramite attività online ma anche offline: l’obiettivo è stringere rapporti i più duraturi possibile”. Anche grazie ai giornalisti.

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