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Che storia, il volontariato Focsiv: “Non ha confini”

MondoChe storia, il volontariato Focsiv: “Non ha confini”

ROMA – “Otro lado”, l’altro lato, del confine, del muro, del mondo. È l’espressione utilizzata dalle donne migranti a Tijuana, la città del Messico che guarda lì di fronte San Diego e gli Stati Uniti. Di barriere, da attraversare, scavalcare o anche solo provare a capire, parla suor Albertina Pauletti. Missionaria scalabriniana, nata nel sud del Brasile, origini venete, è la direttrice dell’Istituto Maria Asunta di Tijuana. Si tratta di una casa di accoglienza e supporto dove da oltre 30 anni fanno tappa donne e bambini migranti, in arrivo da altre regioni del Messico, da altri Paesi dell’America centrale o anche, spesso, respinti al confine con gli Stati Uniti.

Quello delle missionarie, durante una cerimonia al Nuovo teatro ateneo dell’università Sapienza, è riconosciuto dalla federazione del volontariato cattolico Focsiv come “miglior progetto di cooperazione internazionale” del 2024. “La situazione non è sempre la stessa” riflette suor Pauletti in un’intervista con l’agenzia Dire. “Molto dipende dai pericoli legati alla criminalità e molto anche dalle leggi adottate dagli Stati Uniti o dal Messico”.

Novità potrebbero arrivare da Donald Trump, neoeletto presidente che preannuncia “chiusura dei confini” e “deportazioni” di massa di persone migranti senza permessi di soggiorno o di lavoro. Che alle dichiarazioni seguano i fatti, lo si vedrà. Suor Pauletti sottolinea che “non ci sono muri, se non ci sono muri nei cuori”. E poi continuerà a lavorare, restando anche una fonte preziosa per i giornalisti. Come del resto gli altri operatori di cooperazione, attivisti e anche “content creator” premiati al Nuovo teatro ateneo. Sono le lavoratrici della cooperativa Esperanca e alegria das mulheres (Esam), che in Guinea Bissau danno lavoro e possibilità anche alle rifugiate costrette a lasciare i villaggi della regione senegalese della Casamance. A loro, con l’organizzazione italiana partner Cope, va il riconoscimento “società civile del sud”. C’è poi Silvia Dellapiana, piemontese di Alba, insignita del premio “servizio civile universale” e “corpi civili di pace”. Ventinove anni, ha vissuto tre mesi in un campo profughi del Libano con i volontari dell’Associazione papa Giovanni XXIII. “Credo in un intervento civile e pacifico nelle aree di conflitto” spiega dal palco. “Voglio poter dire alle persone che ho incontrato che la mia è un’Europa che si impegna per i diritti umani”.

Tornano, queste parole, nelle voci di Daniel Mizrahi e Tarteel Al Junaidi. Ricevono il premio “difensore dei diritti umani” in video-collegamento da Israele e dai Territori palestinesi occupati. Mizrahi è esponente di Mesarvot, una parola che in ebraico vuol dire “ci rifiutiamo”. “Sono stato in carcere 50 giorni per essermi rifiutato di servire nell’esercito” racconta. “Nelle prigioni israeliane restano altre tre persone che hanno fatto la mia stessa scelta, in un caso da addirittura tre mesi”. La loro è una storia di resistenza, come quella di Al Junaidi, della rete palestinese Community Peacemaker Teams (Cpt). In video dialoga con Daniele Taurino, filosofo e attivista del Movimento nonviolento. In tempi di guerra, dal Medio Oriente all’Ucraina al Sudan, rovesciano la prospettiva e dicono che la pace è sempre possibile.

“TUTTA UN’ALTRA STORIA”

Lo spirito è quello di “Tutta un’altra storia”, un progetto che mira a definire “nuove cornici narrative contro la discriminazione e l’odio”. È un percorso promosso dall’organizzazione della società civile Cisv e co-finanziato dalla Fondazione compagnia di san Paolo e dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics).

Spiega Tana Anglana, animatrice del progetto, esperta di comunicazione: “Vogliamo prenderci cura di come la realtà è narrata, non perché ci sia una realtà unica ma perché la narrazione soprattutto delle migrazioni è assolutamente parziale e molto polarizzante; è una narrazione che provoca grande violenza, anche sociale, perché la semplificazione che porta alla polarizzazione comprime l’identità delle persone e ciò procura sofferenza”.

Ma quali sono gli obiettivi di ‘Tutta un’altra storia’? “Vogliamo cambiare il clima della discussione” risponde Anglana, “usando delle tecniche proprio per uscire dalla logica polarizzante e cercando di dare più spazio a un ascolto empatico”. La tesi è che anche sulle migrazioni “non tutti sono schierati e polarizzati”. Anglana evidenzia: “Molte persone appartengono al cosiddetto ‘centro fluido’, non sono cioè né particolarmente informate né particolarmente interessate, ma potrebbero essere interlocutori per cambiare il clima generale della discussione”. L’esperta sottolinea la necessità di “aprirsi a una comunicazione che sia meno giudicante, meno prescrittiva e più attenta anche alle legittime preoccupazioni degli altri”.

RICONOSCIMENTO A GHALI, ARIMAN SCRIBA E ALL’ASSOCIAZIONE UBUNTU

Puntare su ciò che accomuna, insomma, e non solo su ciò che divide. Un impegno da rispettare, per i comunicatori che al Nuovo teatro ateneo ricevono il riconoscimento di ‘Tutta un’altra storia’. Si comincia da Ghali, rapper milanese con genitori tunisini, capace di mischiare lingue, influenze ed estetiche. “L’11 ottobre”, si legge nelle motivazioni del riconoscimento, “ha pubblicato il singolo ‘Niente panico’, un dialogo intimo e profondo rivolto non solo a se stesso ma a tutta la sua generazione, per ricordare di non avere timore”. Dell’artista si celebra poi l’impegno “per promuovere il dialogo culturale e per sostenere l’inclusione”. Raccontano “tutta un’altra storia” anche Ariman Scriba, ideatrice insieme con Selam Tesfai e Ariam Tekle di ‘My-Zone Podcast’, serie di racconti e incontri nei quartieri milanesi di Quarto Uggiaro, Corvetto e San Siro. E c’è poi l’associazione Ubuntu, nata nel 2018 a Salerno. “Tra le sue attività”, si evidenzia nelle motivazioni del riconoscimento, “ci sono i laboratori di lingua d’origine per i bambini dai sei ai dieci anni, che consentono di recuperare le proprie radici identitarie rafforzando così l’autostima di ciascuno, un sentimento importante soprattutto per gli adolescenti”. A ritirare il riconoscimento è Bahia Lahboub. Nel nome, spiega, lei che è nata a Casablanca, delle “nuove generazioni italiane”.
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